Doveva essere un addio e un rimpianto, un ripercorrere le nostalgie che punteggiano l’esistenza di ognuno, un colloquio diretto tra noi e chi scompare, salutandolo col solito “ciao, dovunque tu sia, il nostro ricordo di te sarà vivo per sempre”. Così accade se una persona a te vicina, senza deciderlo, è costretta ad andarsene, e va.
In questo caso, no. La realtà è diversa. Non si può parlare al passato di chi non può mai tramontare, avendo trasformato se stesso in centinaia di figli. E sono figli eccezionali, la prole artistica, che non ha tempo e invade ogni spazio in cui ci muoviamo.
Luigi Baldacci, l’affermato pittore-scultore abruzzese di cui sto parlando, è più che mai tra noi, poiché la sua Arte ci circonda, dirompe dalle pareti delle stanze, dalle geometrie di sculture ultramoderne, esposte nei giardini e nel centro di Pescara, e in molti altri luoghi d’arte. Luigi pensa, agisce, parla, respira arte, che per lui diventa stupore, emozione. La presenta con l’affetto e la partecipazione che si può avere per le proprie creature.
Approfittiamo della disponibilità del pittore per seguirlo a compiere una breve, ma intensa visita, lungo la grande strada della sua popolarità o lungo il sentiero segreto della sua ispirazione, e ripercorriamo le diverse stazioni artistiche, che ha costruito con un paziente, illuminato, piacevolmente sofferto e impegnato, atto creativo.
È lui che ci accompagna e spiega senza spiegare, ma lasciando a noi l’impegno di interpretare il simbolismo, l’astrattismo, il surrealismo, l’extra – “sensorialismo” dei suoi lavori. Ogni opera stimola i pensieri e la fantasia; compiaciuto, la offre alla nostra fruizione, alla nostra partecipazione, alle personali capacità interpretative. Lui fa da maestro e propone quesiti artistici originali; lo seguiamo nei luoghi in cui ha inventato le sue tele, le ha esposte. Ne siamo catturati.
Il primo passaggio è attraverso un mondo rurale, fatto di fede e di operosa fiducia nei misteri della terra contadina, a cui dobbiamo accostarci con umiltà, per ricordarne e capirne le leggende antiche che hanno reso forte la nostra etnia. Ed ecco una tela su cui un gatto si distende tra le braccia di due innamorati, a rappresentare una enigmatica storia d’amore.
Ecco una vecchietta col fazzoletto avvolto tra la testa e il mento, una mano chiusa sull’altra, e il volto perso dietro la sua età e le sue esperienze trasformate in rassegnata saggezza.
La nonna del pittore!
Ecco un mazzo di fiori personalissimi, e un paesaggio di piccole case, che appoggiano su linee ondulate, che non sono acqua, né terra, ma puro colore, uno straordinario modo di disegnare il mondo che ci accoglie e che ci fa vivere. Sono le onde dei nostri pensieri, degli affetti che ci legano, dell’amore in cui ci rinnoviamo e rinnoviamo la nostra stirpe.
Il Baldacci, con un leggero soddisfatto sorriso e i capelli fluenti mossi dal vento sottile di chi si entusiasma a presentare la sua visione della realtà, adesso ci porta al cospetto di personaggi più reali del reale! Li presenta come attori surreali, io direi iper-reali, per la perfezione del disegno figurativo e degli atteggiamenti e della mimica.
E giochiamo pure con queste definizioni, la verità è che giochiamo con i mille aspetti della vita, che lui trasforma in colori e messaggi personali.
Volando a cavallo del tempo arriviamo ad Ateleta, dove un Museo accoglie altre sue opere. Il viaggio prosegue fino a Fossacesia, nel Palazzo Priori, dove è conservata una sequenza di tele che raccontano la storia d’Abruzzo, mettendo in risalto le nostre opere architettoniche, la nostra religione, le panoramiche essenziali dei vari paesi, dei monti, del mare. Dispersi attorno, di lato, dentro, in ogni angolo del dipinto, compaiono e sembrano roteare numerose, piccole schede, recanti immagini che richiamano la quotidianità, i costumi, gli stemmi e gli emblemi che contraddistinguono un paesaggio, una vicenda, una storia diventata Storia della nostra terra.
Luigi chiama questa arte ESPART (Arte Extrasensoriale).E forze inconsce (appunto, ultra-sensoriali) devono avergli accesa la precognizione dei grattacieli di New York, tragicamente distrutti dalla furia terroristica. Trent’anni prima dell’avvenimento, li aveva dipinti in una serie di quadri rotondi lavorati con la tecnica dell’acrilico. Sono evidenti le torri che si sgretolano a terra e le genti travolte. Ha previsto anche la caduta del muro di Berlino e la guerra dell’Iraq. Si vanta di queste sue premonizioni diventate arte. Quella sua capacità di vedere nel futuro a mio avviso altro non è che l’energia dell’inconscio e della fantasia creatrice di un artista, la cui mente rompe le barriere dello spazio e del tempo. A volo entusiasmante ci porta nella grande Sala Consiliare del Comune di Pescara, dove le alte pareti palpitano nelle lunghissime tele (fino a 12 metri di lunghezza, e 2 di altezza!), su cui si svolge la storia della Città, dal rito della dea Ataernum, dalla lancia del centurione romano, fino ai martiri dell’indipendenza d’Italia, e a D’Annunzio, e ai nostri giorni. Un’opera inestimabile e immortale.
Lo spazio è annullato dall’entusiasmo per l’Arte. Seguiamo l’artista sulla scia argentea della curiosità. E arriviamo a Civitaluparella dove, nel Museo Civico, è esposto un suo quadro sugli eventi storici e sulle scoperte e gli studi archeologici (graffiti e rocce per i rituali religioso-terapeutici dell’incubatio) condotti e diretti dal prof. Di Fraia.
Ritorniamo con Luigi a Pescara, ad ammirare una scultura dedicata al teatro Flaiano, e il dipinto molto coinvolgente della Madonna dei Sette Dolori, nella Basilica omonima.
Il Baldacci con una cortesia tutta abruzzese ci accompagna nella sua abitazione, dove scorrono sotto i nostri sguardi un’infinità di opere sue, e in particolare quelle dello stile più recente, in cui si concentra, si dilata, si inazzurra la sua genialità creativa. Siamo circondati dai suoi segni e disegni simbolici, tutti da interpretare: oggetti tipici d’Abruzzo, ali in volo, perline e cerchi, in continua rotazione prospettica, sistemi cromatici, che si allontanano o si avvicinano verso le nostre emozioni nascoste. Figure stilizzate o realistiche, monumenti e scorci di città, stemmi, schede variegate, contenenti piccole illusioni e invenzioni d’arte inconscia: suggestiva, sfuggente, eppure sconcertante, misteriosa, e densa di contenuti esistenziali. Si arriva così ad un piccolo quadro su tela, che – come riferisce il pittore – al momento è l’ultima sua opera. Su una base di orizzonti marini in prospettiva cromatica, dal blu intenso ad un celeste trasparente, appare una ruota in movimento aereo, dentro un’atmosfera di puntini bianchi che volano dentro un cielo d’arancio-giallo sfumato nel bianco. Dentro la ruota incontriamo una serie di ali aperte disposte in ordine obliquo, una dietro l’altra. Accanto alle ali, sulla nostra sinistra, una sequenza di piccoli cerchi, che sembrano muoversi in senso opposto. Si allontanano, e si perdono in un azzurro puntinato. Interpretazione mia: la base è l’oceano che ha dato la vita alle cellule; le ali non sono ali; sono i vari stadi della vita umana. Il primo, in basso, è quello oscuro del concepimento e della gravidanza, in cui nulla sentiamo e vediamo. Uno dopo l’altro, seguono gli stadi, a diversi colori, dell’infanzia, della giovinezza; della maturità, che si perde nel suo stesso candore trasparente. Di là da questi stadi… alati, ecco il viaggio di quelle perline in fila e in fuga prospettica verso uno sfondo blu-chiaro, dove scompaiono. La prima perlina potrebbe essere quella del passaggio da una vita precaria, alla vita metafisica, che è la definitiva esistenza, extracorporea, fatta di cellule perfette, di atomi in movimento, di dinamismo immortale: di vita senza morte. E il bianco-blu trasparente del cielo in cui arrivano le perline, dove l’ultima ala sembra farsi assorbire, e l’ultimo orizzonte marino sembra scomparire in se stesso, è il colore dove si compiono e si perdono tutti i colori, tutta l’esistenza materiale trova la sua meta, e dove prendiamo conoscenza del mistero più alto. Quello che governa l’esistere e la nostra doppia esistenza, che vince il buio della non materia.
Chiediamo al pittore se questo è il significato giusto. Come fa di solito, sorride, non spiega, lascia gli altri nel dubbio.
E questa volta fa solo un segno con il suo indice. Lo indirizza verso l’alto. Verso il soffitto. No, verso, il cielo. No, verso Dio. Quasi a dire che la sua arte lo ha reso degno di conoscere questo mistero.
E qui termina il viaggio nostro nel mondo di Luigi Baldacci. Non termina l’Arte del pittore che continua a farci respirare vita e sogni, mentre percorriamo i sentieri del mondo. Non termina lo stupore con cui Luigi ci saluta e ci lascia a discutere dei suoi lavori. Si è ritirato per continuare a dipingere. Questa volta non da solo, ma aiutato dall’affetto nostro e dei suoi cari. Ogni tanto si affacceranno, nel suo studiolo, la moglie attenta e premurosa, Maria, i figli Alberto e Igor, i nipotini cinguettanti Michelangelo e Jacopo, l’affettuoso nipote Licio Di Biase, la moglie Giovanna, i figli Alessandro e Giampiero, la nipote Annalisa col marito Romeo e i tre figli Mirco, Mattia e Marco; i nipoti acquisiti Cristiana, Raffaele, Daniela, Francesca, Karol, Giada.
E mi affaccerò anch’io, insieme alla mia Tania, grande ammiratrice di Luigi, per raccogliere le sempre più recenti creazioni del suo talento.
Intanto ho scoperto che il quadro su descritto è l’ultimo in ordine di tempo. Ho anche assistito alla sua creazione. Il pittore aveva entrambe le mani impegnate, con una seguiva i suggerimenti dell’Arte; con l’altra stringeva la mano della moglie Maria, attenta e partecipe di ogni sua evoluzione artistica ed esistenziale. Questo quadro è ancora l’ultimo da lui dipinto.
Per il momento, sembra che si sia assentato per prendere nuove ispirazioni e istruzioni, questa volta altissime, suggeritegli dall’Artefice Supremo.
Ermete Pellicciotta