Raffaello Artista Universale: il Menotti Art Festival Spoleto rende omaggio al Divin Pittore morto il 6 aprile 1520 a soli 37 anni con una pièce teatrale prevista per il mese di settembre 2020
(di Anna Maria Stefanini)
Inizia con Raffaello Sanzio la rubrica Personaggi che hanno fatto la storia dell’Italia, sia in questo periodo, che in futuro, sarà sicuramente piacevole sapere di quanta storia e cultura è ricco il nostro paese. “Qui è quel Raffaello da cui, fin che visse, Madre Natura temette di essere superata da lui e quando morì temette di morire con lui.” (Epigrafe sulla tomba di Raffaello nel Pantheon di Roma).
“Ero andato a vedere quel quadro (la Madonna della seggiola; Firenze) per spassarmela; ed ecco che mi trovo davanti alla pittura più libera, più salda, più meravigliosamente semplice e viva che sia dato di immaginare.” (Pierre Auguste Renoir).
Il sei aprile 1520, Raffaello Sanzio muore a Roma; secondo alcune interpretazioni storiche, nel giorno del suo trentasettesimo compleanno (il Vasari invece indica la nascita il venerdì santo del 28 aprile del 1483).
A cinquecento anni da quell’evento il mondo si ferma e per un attimo dimentica l’ossessione della pandemia per ricordare questo gigante dell’arte e dell’umanità.
La Città News vuole ricordare questo genio italiano. Per farlo è opportuna una breve premessa storica e richiamare lo straordinario periodo in cui visse ed operò il grande pittore di Urbino: il Rinascimento italiano ed europeo. La storiografia e la storia dell’arte raccontano questo periodo come una rinascita.
Questo è vero ma non è tutta la verità; in realtà si tratta di una complessa catena di fenomeni storico-sociali con importanti ricadute anche nei secoli successivi: l’affermazione di una nuova geopolitica. Un vero salto di civiltà.
Un nuovo paradigma sociale prodotto da un attore globale emergente: la borghesia cittadina.
Una classe sociale, comparsa già nel basso medioevo in tutta l’Europa centro-settentrionale, che letteralmente sviluppò un nuovo modello geo economico: dal produrre per l’autoconsumo si passò a produrre per gli altri e per il commercio. Una trasformazione che generò una lunga catena di epifenomeni: la bottega artigiana, l’intermediazione finanziaria per facilitare il commercio, l’espansione delle rotte commerciali, le scoperte geografiche, la cultura universale, l’Umanesimo e la scienza. È opportuno notare un importante dettaglio: la bottega era non soltanto luogo di produzione ma anche luogo di formazione per i giovani artigiani ed è certo che l’abilità manifatturiera italiana fra ‘400 e ‘500 raggiunse livelli di eccellenza assoluta.
Una citazione speciale è dovuta ai “mastri vetrai” di Murano che realizzarono le potenti lenti con cui Galileo Galilei, nel periodo in cui insegnava all’università di Padova, poté perfezionare le precedenti rudimentali versioni del cannocchiale. Lo sguardo dell’uomo giunse sino ai confini dell’universo.
Nel 1455, ventotto anni prima di Raffaello, il tedesco Johannes Gutenberg aveva inventato la versione occidentale della stampa mediante la tecnica dei caratteri mobili: la cultura scrittografica stava diventando fenomeno di massa.
In questa ricca fioritura compare anche la “bottega artistica”.
Raffaello visse pienamente in questa rivoluzione contribuendo, insieme a Leonardo, Michelangelo e tutti gli altri, alla realizzazione della quota mancante: quella che spetta all’arte.
Con gli artisti della sua generazione il Rinascimento guadagnò anche una visione.
In questo percorso Raffaello ebbe fortuna, quella di nascere ad Urbino da famiglia di artista. Sul finire del ‘400 Urbino era un importante snodo del Rinascimento italiano e il padre Giovanni Santi (il cognome ufficiale “Sanzio” viene da Santi, più o meno come Marzio viene da Marte; la madre si chiamava Maria di Battista) un bravo pittore titolare di una stimata bottega.
Il genitore avviò precocemente il figlio alla pratica pittorica e allo studio delle opere di Piero della Francesca, che proprio a Urbino aveva lasciato alcune tra le sue creazioni più belle.
Una precocità che valse al talentuoso adolescente un posto nella prestigiosissima bottega artistica del Perugino e non c’è chi non veda nella combinazione ascendente di figure umane, elementi architettonici e vedute naturali, impaginata nella “Consegna delle chiavi” del maestro umbro, motivi ispiratori presenti anche nelle successive opere dell’allievo, quali “Lo sposalizio della Vergine” e persino nella “La scuola di Atene”.
Ad appena 17 anni (siamo nel 1500) Raffaello era artisticamente maturo ma mantenne a lungo l’istinto dell’allievo, ricercando e studiando le grandi opere dei giganti contemporanei, Leonardo e Michelangelo in primo luogo.
Per diversi anni lavorò come artista itinerante lasciando capolavori in varie città.
Al periodo di Città di Castello appartengono lo Stendardo della Trinità (1499), conservato nella pinacoteca comunale della cittadina umbra, la Pala del Beato Nicola da Tolentino (1500-1501), opera smembrata con parti conservate in vari musei e la celebre Crocifissione Gavari (1502-1503), oggi alla National Gallery di Londra (una parte dell’opera, denominata “predella”, è conservata al Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona).
Nel 1502 dipinse per la famiglia Oddi di Perugia la Pala con “l’Incoronazione della Vergine” (da non confondere con l’opera omonima di Beato Angelico), trafugata dai francesi nel 1797 e restituita successivamente al Vaticano.
Il 1504 è l’anno di uno dei suoi massimi capolavori: lo “Sposalizio della Vergine”, commissionato dalla famiglia Albizzini di Città di Castello; dopo un lungo periodo di sottrazioni, passaggi di mano e vendite l’opera è attualmente alla pinacoteca di Brera a Milano.
Questo periodo, che si potrebbe definire “periodo umbro”, che copre i primi anni del ‘500, fu quello che diede stima e fama a Raffaello.
Un contributo importante alla formazione del giovane Raffaello venne anche dai soggiorni toscani; a Siena (tra il 1502 e il 1507), dove collaborò con l’amico Pinturicchio ad affrescare la Libreria Piccolomini e, successivamente a Firenze, attratto, come molti altri artisti, dalla fama dei cartoni preparatori di Leonardo (come quello per la “Battaglia di Anghiari”) e di Michelangelo.
Allora c’era un solo modo per ammirare le opere d’arte: andarle a vedere di persona.
Diversi critici attribuiscono al periodo fiorentino anche il celebre autoritratto.
Nella sua itinerante carriera Raffaello mantenne buoni rapporti con Urbino per la quale eseguì varie opere, tra cui il “San Giorgio e il drago” (1505), oggi al Louvre di Parigi e il grande (268×160 cm) “San Michele che sconfigge Satana” del 1518, anch’esso al Louvre. Alcuni storici dell’arte ritengono che le due opere fossero in origine destinate ad un dittico.
Per la corte dei Montefeltro di Urbino dipinse i ritratti di Guidobaldo da Montefeltro e di Elisabetta Gonzaga (entrambi agli Uffizi di Firenze).
Una quota notevole alla fama di Raffaello viene dalla cosiddetta “serie delle Madonne”; molte prodotte nel periodo toscano.
Tra queste si ricorda il gruppo delle Madonne col bambino, la Madonna del Cardellino, la Madonna del Belvedere, la Madonna d’Orleans, la Grande Madonna Niccolini (o Cowper), la Madonna Bridgewater etc. (molti dei nomi derivano dalle collezioni di cui entrarono a far parte), sparse per i musei di tutto il mondo.
Il fascino straordinario delle “Madonne” sta nella perfetta ed armonica fusione della normale materna quotidianità di Maria con la sua natura divina. Maternità e divinità a centimetri zero.
Al periodo fiorentino appartiene anche la serie dei grandi ritratti, in molti dei quali appare l’influenza leonardesca (come in quello di Maddalena Strozzi) e la celebre “Pala Baglioni”; anche se commissionata dalla famiglia Baglioni di Perugia.
Il periodo fiorentino si chiude con l’incompiuta Madonna del baldacchino: sul finire del 1508 Raffaello è chiamato a Roma da papa Giulio II, probabilmente su suggerimento del conterraneo Bramante.
Papa Giulio II aveva in mente un grande progetto di rinnovamento artistico ed architettonico di Roma e del Vaticano ed aveva chiamato a sé i più grandi artisti italiani; ma era persona di difficile contentatura. In realtà sembra che Giulio II volesse soprattutto rinnovare la sua residenza privata per allontanarsi da quella del predecessore Alessandro VI (Rodrigo Borgia): “non volebat videre omni hora figuram Alexandri praedecessoris sui” (non voleva vedere in ogni momento la figura del suo predecessore Alessandro”); questa la testimonianza di un cerimoniere papale.
Dei nuovi appartamenti papali (oggi Musei Vaticani), quattro grandi saloni sono denominati collettivamente “stanze di Raffaello”. Nelle odierne visite guidate si percorrono nell’ordine: la Sala di Costantino, la Stanza di Eliodoro, la Stanza della Segnatura e la Stanza dell’Incendio.
Delle quattro stanze la più celebre è la Stanza della Segnatura, così denominata perché adibita a tribunale (Segnatura Gratiae et Iustitiae); in realtà la più probabile destinazione originaria doveva essere quella di studiolo. Le pareti della Stanza sono infatti affrescate con rappresentazioni dedicate alla filosofia, alla teologia, alla poesia e alla giurisprudenza.
Nella parete dedicata alla filosofia compare la celeberrima Scuola d’Atene che fotografa un non troppo immaginario scorcio della giornata dei grandi filosofi della Grecia classica.
Nel periodo romano Raffaello contribuì anche al progetto della nuova basilica di S. Pietro, non trascurando la ritrattistica; sono di questi anni anche il ritratto di Giulio II e la celeberrima “Fornarina”.
Raffaello aveva ancora un fin troppo alto numero di impegni aperti quando il venerdì santo 6 aprile 1520 morì dopo una breve malattia.
“Quanto fu dolce il giogo e la catena delle tue candide braccia al collo mio volti, che sciogliendomi, io sento mortal pena.” (Raffaello Sanzio).