Recensione di Ermete Pellicciotta al saggio “Pagine di letteratura inglese tra ‘800 e ‘900” di Daniela Quieti


In una serata estiva di incontri letterari, di ricca cultura, e di… gustosi gelati, organizzata dall’Associazione Borghi della Riviera Dannunziana alla Playa della Pineta di Pescara, la scrittrice e poetessa Daniela Quieti ha presentato la sua ultima fatica “Pagine di letteratura inglese tra ‘800 e ‘900. È una raccolta di studi personali sugli Autori inglesi del 1800 e 1900. Il primo pregio del libro è quello di soddisfare la curiosità del lettore, grazie alle descrizioni agili, esaurienti, convincenti, frutto di una preparazione pluriennale approfondita. Trattandosi di scrittori inglesi, le citazioni scelte con sapiente dimestichezza sono arricchite dal testo originale, per poterne confrontare la validità nelle due lingue madri, l’italiano e l’inglese. L’altro grande merito è aver tracciato in poche pagine le tendenze, le poetiche, i programmi letterari e gli stili di ogni scrittore o poeta. È un godimento poter afferrare con facilità e con speditezza le caratteristiche e le innovazioni letterarie di ognuno. La grande preparazione della professoressa Quieti, tradisce un sincero e appassionato coinvolgimento nel presentare la storia del costume, della società, delle consuetudini del popolo inglese, sotto la lunghissima guida della regina Vittoria. Durante la serata, nella prefazione narrata a viva voce, la Quieti delinea con parole semplici, ma fortemente incisive ed efficaci, i punti essenziali del significato e delle finalità del suo libro. Interessante la segnalazione della transizione tra due mondi dell’Inghilterra vittoriana: la prosperità e ricchezza dell’Impero britannico, che raggiunge la sua massima espansione grazie alla supremazia sul mare, al progresso scientifico, tecnologico, e industriale e al notevole aumento demografico. Si verificò un’ascesa della borghesia, dovuta al controllo del commercio anche nelle colonie lontane. Purtroppo, aumentò anche il divario delle classi sociali per l’arricchimento di un ceto e l’impoverimento di quelle meno fortunate. Infatti, si manifestò una decadenza e un degrado morale, a cui la regina Vittoria cercò di porre argine imponendo canoni comportamentali rigorosi, soprattutto nei confronti delle donne. Esse dovevano svolgere una vita ritirata nell’ambiente familiare, dipendere finanziariamente dal marito o dal padre. Dovevano vestire adeguatamente, essere pazienti, gentili, svolgere vita familiare, e lavorare al massimo come governanti o insegnanti nelle famiglie facoltose. Erano tenute a superare gli uomini nella moralità, nei sentimenti, nella forma elegante e serena da presentare in società. So, come medico, che il moralismo vittoriano fu di ostacolo a S. Freud nello spiegare e nell’applicare, per le sue terapie psicoanalitiche, le teorie innovatrici sulla sessualità infantile. Partendo dalle conquiste positive e dalle problematiche di quei secoli, la Quieti coglie l’occasione propizia per presentare la poetica e le soluzioni dei vari Autori. Quando parla di R.L. Stevenson, mi ha colpito in modo positivo l’accostamento che ha fatto tra la doppia personalità del dott. Jekill e del signor Hyde, e il dualismo della società inglese. Infatti, il dott. Jekill rappresenta la borghesia che produce e arricchisce il paese e porta un progresso tecnologico; e rappresenta anche i comportamenti irreprensibili della società vittoriana. Mister Hyde, con i suoi comportamenti psicopatici e criminali da povero emarginato che si dedica al male e al delitto, rappresenta la parte sociale londinese dei poveri, discriminati, sventurati, esclusi, predisposti a delinquere. È anche il dualismo del nostro Io, e dell’alter Ego che alberga in noi e che può emergere nell’uomo stesso. La professoressa Quieti segnala giustamente il lato negativo del progresso della medicina: la possibilità di inventare, come fa il dott. Jekill, una pozione, una sorta di droga, che fa emergere gli istinti negativi, oltre che offrire il piacere di spersonalizzarsi e dimenticare i problemi dell’esistenza. La necessità di delinquere per povertà ed emarginazione e per seguire gli istinti dell’Inconscio, accostata al gentiluomo distinto, di classe superiore (Hyde e Jekill) sono l’emblema della Londra divisa in una zona degradata, immorale, criminosa, e una zona ricca, agiata e “perbene”. Stevenson “ha saputo approfondire con sorprendente modernità le contraddizioni dell’uomo e di una società…”. Così afferma la Quieti e poi accenna, giustamente, alle teorie del neuropsichiatra Cesare Lombroso, che andava per la maggiore in quei tempi. Egli aveva fondato l’antropologia criminale, e aveva elaborato la teoria del criminale che nasceva tale, costituzionalmente, e che poteva addirittura essere diagnosticato in base ad alcuni tratti del volto, del cranio, ecc. (fisiognomica). Una ennesima novità, inaspettata, messa in evidenza dalla professoressa, è che, contro le regole antifemministe vittoriane che negavano alla donna la possibilità di scrivere libri, una certa Mary Ann Evans “divenne una delle autrici più acclamate dalla critica nell’Inghilterra vittoriana”. Ma lo ha fatto sotto lo pseudonimo maschile di George Eliot! Con la consueta saggezza e grazie alla sua natura poetica, quale autrice ed esegeta delle poesie, la professoressa Quieti riporta alcune frasi coinvolgenti e di grande acutezza psicologica della Mary Ann, diventata George: “La falsità è così semplice, la verità così difficile”; e poi: “Non nego che le donne siano stupide: Dio Onnipotente le ha fate per vivere insieme agli uomini”. A proposito di citazioni intelligenti e poetiche, non posso non evidenziare quelle di uno dei “War Poets” (Poeti di Guerra, la guerra del ’15-18). Erano giovani “animati da un impulso patriottico, spesso con una cultura e una sensibilità raffinata”, arruolatisi come volontari e rimasti sconvolti dalle condizioni disumane della trincea. Rupert Brooke fu uno dei tanti giovani che accolsero con entusiasmo ed impeto l’entrata in guerra della Gran Bretagna. Ha composto la famosa poesia “The soldier”, “Il soldato”. Esprime “il senso di nazionalismo contro il nemico e di idealizzazione di coloro che morivano lottando con abnegazione”. Leggiamo alcuni versi scelti: “Se dovessi morire, pensa di me solo questo / Che c’è qualche angolo di un campo straniero / che è per sempre l’Inghilterra. Ci sarà / In quella ricca terra una più ricca polvere nascosta / Una polvere che l’Inghilterra generò, / Modellò, rese consapevole… un corpo inglese che respira aria inglese…” Diventa poesia il concetto di “un soldato inglese che cade in battaglia e quella porzione di territorio occupata dal suo corpo diviene territorio sacro”. Non posso non complimentarmi con la stimatissima e dolcissima Daniela Quieti, che con la sua non comune sensibilità poetica ha saputo offrirci il fiore col quale la vita offerta al massimo sacrificio diventa religione, patriottismo, poesia altissima, nel sacrificio estremo dell’uomo! Daniela grazie di cuore. Continueremo a leggere il tuo libro, di cui ho offerto solo piccoli spicchi e spunti. E ne raccoglieremo altri, da te suggeriti. Ringraziandoti. All’infinito.

Ermete Pellicciotta